Resilienza: ne parla Elena Malaguti

Negli ultimi anni sente parlare sempre più di resilienza. Cosa è esattamente?

É un processo di ripresa evolutiva, di natura psicologica, psicosociale, culturale, affettiva, sociale che permette a una persona o a un gruppo umano di avere un nuovo sviluppo davanti a un evento traumatico per lui o per lei.

Lei dice che la resilienza è spontanea ma ha bisogno di aiuto per essere messa in azione. Che tipo di aiuto è necessario?

Innanzi tutto è importante comprendere di cosa stiamo parlando. Ci sono processi che riguardano l'animo umano e che sono sempre esistiti dall'origine dell'umanità non solo nella letteratura ma anche nel mito e nella costruzione sociale.
Il primo aiuto è accettare che, anche davanti a situazioni traumatiche, ci siano processi di ripresa evolutiva che implicano l'intreccio con la dimensione della vulnerabilità. Essere resilienti non significa essere invulnerabili ma costruire un'identità che narra il vulnus, quindi l'identità della ferita che può essere di origine congenita, acquisita, derivare da un trauma affettivo-relazionale. Di fronte a queste condizioni di vulnerabilità, di fronte allo sguardo sul trauma, allo sguardo storico sul deficit e sull'andare a coprire tutti i danni che questi eventi comportano, c'è anche una lettura per comprendere come alcune persone hanno riorganizzato la loro identità intorno alla ferita.

Il riferimento è anche a quei gruppi di bambini che vivono il trauma della guerra, vista la sua esperienza con l'Africa?

Sì , ma la resilienza può essere dovuta a fattori strutturali o congiunturali. Un fattore strutturale può essere la nascita di un bambino con disabilità e questo evento può comportare un bisogno di resilienza. Ma il bambino può nascere anche in una famiglia con un buon equilibrio psico-affettivo che costruisce una buona identità.
I fattori congiunturali possono essere guerre o catastrofi naturali, e rispetto ai progetti adottivi, se è vero che non tutti i bambini adottati sono stati maltrattati, è vero che c'è stato un evento che ha comportato per loro un cambiamento creando un guscio sensoriale. Sicuramente il tema adottivo si presta a una riflessione legata al tema della resilienza.

Viene prima la resilienza o il racconto autobiografico?

Sono due elementi che si intrecciano, differenti ma connessi. Amo definire la resilienza una forma di riorganizzazione positiva. Il racconto autobiografico attraverso un attento ascoltatore e attraverso altri mediatori dell'educazione aiuta questo processo. Ma anche una persona non resiliente, attraverso il suo racconto autobiografico potrebbe aver bisogno di narrare la sua identità ferita.

(Sandro Pintus)

Ultimo aggiornamento: 26/06/2012 - 10:42